TV SORRISI E CANZONI n.15 (1979)

Una realtà riproposta dalla serie televisiva "I sopravvissuti". COME VIVERE DOPO LA FINE DEL MONDO.

Il futurologo Roberto Vacca, autore di "Medioevo prossimo venturo" ci spiega cosa potrebbe succedere in una società sconvolta da catastrofi epidemiche o nucleari. Dopo un periodo di "abbondanza" verrebbe a mancare qualsiasi risorsa.
di Roberto Vacca

Era una meravigliosa statua di marmo pario scolpita molti secoli prima da un grande maestro greco. I due omaccioni non la degnarono di uno sguardo. La fecero a pezzi a mazzate e usarono i frammenti per murarli in una parete abbastanza storta della casa - piccola e brutta - che stavano costruendo. Poi, la sera mangiarono solo formaggio di capra - e le capre le tenevano in stalle arrangiate nei palazzi imperiali. Le mangiatoie delle bestie erano vasche preziose di porfido imperiale. Questo succedeva a Roma 900 anni fa. La popolazione dell'Urbe era soltanto di 30.000 abitanti - contro i due milioni del periodo imperiale di massima fioritura. Non sappiamo neanche bene perchè I'impero romano è decaduto diventando impotente e spopolato. Diciamo che è successo per disorganizzazione, per mancanza di civismo e di produttività, per gli attacchi dei barbari o per la mancanza di altri Paesi da depredare. Sappiamo solo che il Medioevo che seguì è stata un'epoca dura e violenta, in cui pochissimi godevano di lussi modesti e la maggioranza viveva nella miseria, nell'ignoranza e nella fatica. Nello sceneggiato televisivo "I sopravvissuti" è stato rappresentato un ritorno del Medioevo con una diminuzione della popolazione dell'Inghilterra da 60 milioni a poche centinaia di migliaia di persone. La causa di questi milioni di morti, nello sceneggiato, è una pestilenza. Sono anticipazioni tragiche e serie e dobbiamo considerarle con serietà. Esiste veramente il pericolo di una pestilenza che uccida il 99% della popolazione? Molto probabilmente no. L'Europa è stata già attaccata dalla peste bubbonica - la morte nera - nel XIV secolo. La pestilenza bloccò ogni sviluppo civile per qualche decennio, ma non distrusse la società - uccise meno di metà della popolazione europea. Quali sono i veri rischi che corre la nostra società, allora? Leggendo i giornali sembra che uno dei rischi più temuti sia quello connesso allo sviIuppo dell'energia nucleare. Parecchi movimenti cercano di bloccare la costruzione delle centrali elettronucleari. Parecchi giornalisti scrivono articoli catastrofici sull'incidente della centrale nucleare di Harrisburg in Pennsylvania, in cui, dopo tutto, i sistemi di sicurezza hanno funzionato abbastanza bene. Hanno perfino chiamato "bolla H" una certa quantità di idrogeno sviluppatasi nel reattore, quasi per richiamare il nome della bomba H. Invece l'idrogeno di Harrisburg potrà tutt'al più scoppiare combinandosi con l'ossigeno - mentre l'idrogeno della bomba H si fonde col trizio formando elio e producendo una energia enorme: cioè, nella bomba, una potenza distruttiva pari a quella di milioni di tonnellate di tritolo. Le bombe atomiche e le bombe H sono un pericolo vero: al mondo ce ne sono alcune decine di migliaia. Sono sufficienti a ucciderci tutti: non una volta sola, ma molte, molte volte. Non è probabile, però, che le armi nucleari siano lanciate in modo così accurato e malvagio da uccidere tutta la popolazione mondiale. E' concepibile, quindi, che muoiano 99 persone su 100 e che restino solo pochi sopravvissuti. E' un'ipotesi semplice e tragica. Ma non è la sola. Un altro rischio grave è quello della complicazione eccessiva nei Paesi avanzati. Gli esperti - urbanisti, sistemisti - non sanno se le dimensioni massime di una città possano essere fissate a 20, 30 o 40 milioni di abitanti. Però oltre questo limite sconosciuto e verso cui stiamo andando, può succedere che la città muoia di disorganizzazione, perchè non funziona più niente. Abbiamo già avuto esperienza dei black out elettrici. Se un black out più grave si accoppia a uno sciopero, a un'epidemia o a una ondata di gelo, potrebbe succedere che milioni di persone restino intrappolate nelle metropoli senza approvvigionamenti, senza potersi muovere, nè scaldare, e senza poter nemmeno comunicare. Esistono, perciò, dei pericoli veri al verificarsi dei quali sopravviveremmo in pochi. Lo scheletro della società che resterebbe, dopo una catastrofe così grossa, sarebbe veramente medioevale: senza comunicazioni, senza industria, senza servizi, senza cure efficienti e senza tempo da dedicare alla cultura, all'apprendimento, alla scienza. La somiglianza con il Medioevo passato - quello di mille anni fa - non si limiterebbe solo alle condizioni di povertà e di vita dura. La brusca diminuzione di popolazione avrebbe per conseguenza anche un blocco quasi totale delle innovazioni e della stessa industria. Perchè? Ho già raccontato come i muratori medioevali trovassero in giro tante statue e pietre già squadrate, provenienti dal periodo precedente in cui c'era più gente. In un avvenire tragico, come quello che immaginiamo, i pochi sopravvissuti troverebbero: macchine, cibi conservati, medicine, vestiario, abitazioni, carburante in quantità talmente superiori ai loro bisogni da bastare per un secolo. Durante quei cento anni non servirebbe proprio produrre altri beni, altri oggetti o studiare come ricostituire l'industria. Non servirebbe, cioè, a breve termine. A lungo termine, invece, dopo che le tecniche di oggi sono state dimenticate, i figli dei sopravvissuti verrebbero su come barbari nell'ambiente complicato e in via di sfacelo lasciato dalla civiltà tecnologica attuale. C'è da sperare che questi disastri non si verifichino mai. Perchè ne parliamo, allora? Che interesse può avere la storia di eventuali sopravvissuti che, forse, non si troveranno mai in una situazione catastrofica come quelle di cui ho parlato? Un primo interesse è quello della finzione artistica. I drammi devono ben essere basati su situazioni veramente drammatiche. Immaginare queste catastrofi possibili in modo vivido può servire anche a renderci conto di quanto terribili potrebbero essere veramente. Una volta convinti di questo, dovremmo lavorare più intensamente per rendere sempre più improbabili queste sciagure. Dovremmo darci da fare per il disarmo nucleare e svegliare l'opinione pubblica, che alle bombe atomiche non pensa più affatto. Dovremmo contribuire a far crescere l'efficienza, la stabilità, la razionalità della nostra società. La distruzione dei sistemi attuali - che avvenga casualmente o per ragioni belliche, come abbiamo supposto, o che venga raggiunta con premeditazione da movimenti eversivi - non porterebbe a una società giusta, buona e utopica, ma porterebbe - e solo per pochi - a un'era fosca, dura e ingiusta.

Roberto Vacca





Roberto Vacca
, laureato in Ingegneria Elettrotecnica, è docente all' Università di Roma e a quella di Milano e ha partecipato a vari programmi televisivi di divulgazione scientifica. Tra i suoi libri citiamo: IL MEDIOEVO PROSSIMO VENTURO (1971) e LA MORTE DI MEGALOPOLI (1974), ora disponibili online in formato pdf anche in inglese.

QUELL'ENERGIA CHE PUO' UCCIDERE

Venerdì 30 marzo in Pennsylvania, nella centrale nucleare di Harrisburg, è accaduto il "fattaccio" che ha messo in allarme almeno un milione di persone. Un incidente al sistema di raffreddamento di un reattore atomico ha prodotto emissioni di gas radioattivo (Xenon 133) nell'atmosfera esterna. Per fortuna, la fuga di gas era di bassa densità radioattiva. La paura però si è ulteriormente diffusa perchè all'interno del reattore si era formata una bolla di idrogeno che ne ha impedito per alcuni giorni il raffreddamento. La mappa (qui a fianco) delle centrali degli stabilimenti nucleari in Italia potrebbe suscitare altre paure. In effetti, una centrale nucleare non può scoppiare come una bomba atomica. Anche nel caso di fuoriuscita di molto gas, non si formerebbe "il fungo atomico": quindi non c'è il pericolo di cui molti parlano.

JANE FONDA CONTRO L'ATOMICA

Jane Fonda, donna e attrice impegnata (qualche volta arrabbiata) si trova al centro di una nuova polemica dopo l'uscita del suo film "The China syndrome", una storia sui pericoli dell'energia nucleare. Il film, prodotto da Michael Douglas, figlio di Kirk (il produttore di "Qualcuno volò sul nido del cuculo"), denuncia le possibili disastrose conseguenze provocate da un incidente in un centro nucleare californiano. Jane Fonda è la telecronista che dovrebbe commentare l'accaduto per un'importante stazione televisiva: ma i dirigenti dell'emittente si rifiutano senza mezzi termini di dare la notizia. Jane riprende le immagini insieme al cineoperatore (Mlchael Douglas), documenta le terribili scene di panico e assiste all'azione omicida dei capi esecutivi del centro nucleare, pronti a far tacere il capotecnico (Jack Lemmon) che s'era lasciato andare ad alcune dichiarazioni compromettenti. Il film (un grosso successo di questi giorni in America) ha già avuto parecchie clamorose ripercussioni. La General Electric, una compagnia del genere di quella denunciata sullo schermo, ha sabotato proprio un'intervista televisiva con Jane Fonda. "The China syndrome" non solamente affronta il problema nucleare (precedendo a grandi linee con la fantasia quello che in questi giorni è accaduto in America nella centrale di Harrisburg) ma scaglia anche una pietra contro le grosse concentrazioni televisive. Jane Fonda, in attesa degli sviluppi delle polemiche (che probabilmente aumenteranno con l'arrivo di "The China syndrome" in Europa: sarà presentato al festival di Cannes), sta girando un nuovo film accanto a Robert Redford.
 
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