Ma il dopo che cos'è? Ecco
uno dei temi sempre affascinanti che letteratura, cinema, televisione
ed "esperti" ci rilanciano nei momenti di minore o maggiore tran-tran
quotidiano. Se il mondo finisse improvvisamente, e dieci uomini
qualsiasi fossero gli unici superstiti, che cosa succederebbe? La
nostra fantasia ha sempre cavalcato queste ipotesi suggestive. La frase
"vorrei vivere in un'isola deserta" è fondamentale nella vita di
ogni uomo, sia essa suggerita dalla noia, dalla paura, dalla
insoddisfazione o semplicemente dalla fantasia. Ma cosa fare in
un'isola deserta, soli, con il silenzio attorno? Come vivere di nuovo?
Robinson Crusoe, nel 1700, aveva trovato delle soluzioni abbastanza
felici. Ma allora non c'era la bomba atomica e non c'erano le armi
chimiche che possono distruggere ogni cosa in pochi minuti. Gli uomini
erano, sì, un po' matti ma pur sempre limitati nelle loro
follie. Oggi le ipotesi di fine del mondo appartengono di più
alla sfera della paura che a quella della fantasia, se si pensa alle
varie nubi che inquinano l'aria, ai digiuni di Pannella contro le
centrali nucleari e per difendere i bambini che muoiono in ogni parte
del mondo. In questo clima, arriva così anche in Italia la serie
de "I sopravvissuti", una produzione londinese di grande suggestione,
già conosciuta attraverso la Tv svizzera. Questi "matti" di
uomini immaginano, per noi telespettatori, che il 98 per cento della
popolazione mondiale sia sterminata da un'improvvisa e inarrestabile
pestilenza. Ipotesi, come si è detto prima, per nulla
fantascientifica. Ma cosa succede a quel 2 per cento di sopravvissuti?
Si scatenano in incontri ravvicinati del terzo tipo? Scoprono nel
deserto e nel silenzio una magica roulette, dove giocare il resto della
vita? Affittano i Fonzie e compagni di turno per cantare fino alla fine
"Happy Days"? O vanno in processione a sentire i maghi o i grandi
oracoli? I sopravvissuti, per non smentire la felice follia degli
uomini, sono più imprevedibili: continuano a vivere. Anzi,
cercano di trovare le fonti di una vita più civile, più
umana, meno competitiva, meno pericolosa. Con il destino che incombe,
gli uomini sembrano diventare più buoni e duttili, senza lasciar
perdere, naturalmente, la loro punta di follia. In una terra
silenziosa, agricola, con splendidi bovini, tra l'Inghilterra e il
Galles, inizia il cammino verso la nuova civiltà dei
Sopravvissuti. Gli uomini e le donne sono ben assortiti: ma le donne,
psicologicamente più forti (dicono), si dimostrano più a
loro agio. C'è una bella vedova di trenta anni: Abby Grant
(l'attrice Carolyn Seymour), ex ricca, raffinata. Una signora, insomma.
C'è la giovane segretaria di origini operaie: ha venti anni e
combatte la paura con l'aggressività. C'è un altro
vedovo: Greg Preston, un ingegnere civile chiuso in se stesso. Questo
terzetto affronta il cammino verso la scoperta di un nuovo mondo e,
piano piano, a contatto con il pericolo, si accorge che con un minimo
di solidarietà forse si vive meglio. Chi avrebbe immaginato che
dei figli della "famigerata" civiltà dei consumi sarebbero
sopravvissuti senza i loro indispensabili giocattoli? Senza il
frigorifero, la luce, i mezzi di trasporto, i balli di Travolta, i
medici, gli infermieri, le farmacie? La vedova Abby Grant ha anche una
testa, dei sentimenti. Rimasta sola, si convince che suo figlio Peter
deve essere vivo, e parte alla sua ricerca, alla ricerca di una
speranza. Insieme alla segretaria, all'ingegnere e a qualche altro che
man mano incontrano per strada (i sopravvissuti, in fondo, sono il 2
per cento!), inizia il cammino della speranza e della costruzione del
nuovo mondo. Le prime puntate (degli otto epsiodi) servono per formare
l'unione del gruppetto. Nelle altre puntate la ricerca del figlio della
vedova fa da filo conduttore per attraversare le varie fasi (la
fattoria, la comunità agricola, la comunità religiosa, i
bambini) della costruzione di una altro modo di vivere. E, costretti, i
nostri eroi imparano veramente a vivere. La ricerca della nuova
realtà in questa serie televisiva tutta inglese (dal regista
agli attori, al paesaggio) ha quel minimo di misterioso che rende
ancora una volta l'avventura umana affascinante per gli stimoli
spirituali ed esistenziali che accompagnano sempre il cammino degli
uomini sulla Terra, sulla Luna, su Marte o non si sa dove.
Luigi Bianco |
Quando cala il silenzio, dopo la
fine del mondo o quasi, è un tema caro al cinema. Film
capostipite, per l'era moderna, è certo "L'ultima spiaggia"
('59). Il regista Stanley Kramer ha spettacolarmente tradotto in
immagini il romanzo di Nevil Shute che prevede il mondo distrutto da
una guerra atomica. Il problema dei pochi sopravvissuti (gli interpreti
sono Gregory Peck, Ava Gardner, Fred Astaire, Anthony Perkins)
all'inizio è più o meno lo stesso di quello che hanno i
protagonisti della serie televisiva. Il mondo distrutto dalla bomba
atomica si ritrova, poi, in altri film come "La fine del mondo" con
Harry Belafonte e Mel Ferrer. In tempi più recenti (1973) i
giorni dopo la fine sono visti come ipotesi di mondi futuri mitici.
Sono i temi di "Zardoz" (con Sean Connery) e di "2022: i sopravvissuti"
(con Charlton Heston). In "Zardoz" il mondo è dominato dal
potere religioso, per i sopravvissuti del 2022, invece, il potere
mortale è il potere economico che, per esempio, decide di
eliminare chi ha più di sessanta anni. Nel 1976 "La fuga di
Logan" riprende questa ipotesi fissando il limite della vita a trenta
anni. In questo filone si inserisce adesso anche Ugo Tognazzi, che si
appresta a interpretare "I viaggiatori della sera", tratto dal romanzo
di Umberto Simonetta sull'emarginazione degli anziani. Altri titoli:
"L'ultima odissea" (con George Peppard), "2000: la fine dell'uomo", "Il
giorno dopo la fine del mondo" e "L'ultimo uomo della terra". Un
discorso a parte meriterebbe "Il signore delle mosche" ('63) di Peter
Brooke: qui i sopravvissuti sono dei bambini, e la morale è
triste e pessimista, al contrario dello sceneggiato televisivo. |